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Het gevecht met Leviathan: recensione e replica dell’autore

Emiel Lamberts Het gevecht met Leviathan. Een verhaal over de politieke ordening in Europa (1815-1965), Amsterdam, Bert Bakker/ Prometheus, 2011, pp. 428.

Recensione di Andrea Ciampani – segue replica dell’autore

Il libro di Lamberts – ora in corso di pubblicazione da Rubbettino col titolo La lotta con il Leviatano. Percorsi di un odine politico conservatore in Europa (1815-1965) – è un’opera che merita particolare attenzione non solo dalla storiografia, ma dallo stesso dibattito pubblico, cui pone suggestioni e quesiti restati a lungo sottotraccia. Chi conosce il profilo scientifico dell’A., esponente della Katholieke Universiteit Leuven e punto di riferimento nella riflessione europea sul cattolicesimo politico, facilmente intravede l’intento di tirare le fila di una matura fase di ricerca. Il pregio del volume, del resto, non sta nel pur interessante scavo archivistico (consultati quasi trenta archivi in otto paesi europei), quanto nella capacità di metterlo sistematicamente al servizio di un impianto ricostruttivo volto a comprendere dinamiche permanenti dell’evoluzione dei partiti politici e, in particolare, dei rapporti tra conservatorismo e cattolicesimo. Il suo lavoro, infatti, è un’ampia analisi dei complessi percorsi per affermare un ordine conservatore e per contenere lo Stato-Leviatano nell’Europa del XIX secolo. In tale prospettiva, pur osservando la parziale sconfitta di tali tentativi alla fine dell’Ottocento, lo studio evidenzia il rilievo della loro eredità culturale e politica nell’Europa democratica del secondo Novecento – l’«epilogo» del libro è dedicato a Adenauer a Cadenabbia.
Per sostenere una problematica così complessa Lamberts ha scelto di utilizzare un «racconto sugli uomini» che pone al suo centro la figura di Gustav von Blome (1829-1906). Proveniente da un’aristocratica famiglia tedesca e luterana dell’Holstein, che prestò i propri servizi alla corona danese, il giovane Blome si formò tra Lubecca, Heidelberg, Berlino e Parigi, decidendo nel 1851 di impiegarsi nella diplomazia asburgica. Convertitosi al cattolicesimo nel 1856, ebbe sempre più rilevanti incarichi a Pietroburgo, Parigi, Amburgo, Brema e Monaco. Nel 1866 abbandonò la già importante carriera diplomatica e divento protagonista dei network conservatori in Europa. Attraverso gli incontri di Blome l’A. ci introduce all’interno di un’articolata rete conservatrice, animata dagli austriaci Friedrich Revertera von Salandra e Anton von Pergen, ai francesi Paul de Breda, René de la Tour du Pin e Albert de Mun, come anche negli ambienti curiali e nei movimenti cattolici nazionali. La biografia del Blome, ben tratteggiata per dare profondità alla trama di continuità e mutamenti, consente così di far emergere la valenza paradigmatica di questo «bel tipo d’europeo», come dirà poi De Gasperi (p. 297), per evidenziare un percorso scandito da quattro principali tornanti cronologici: l’impatto del 1848, le scelte del 1866, l’azione del 1871, i nuovi orientamenti del 1877. Intorno a tali svolte ruotano le vicende di fenomeni e movimenti politici posti al cuore dell’interpretazione storica del volume: liberalismo politico e interventismo statale, conservatorismo e cattolicesimo sociale.
Il crinale del 1848 viene colto nel suo tratto di forte cesura per l’evoluzione moderata delle classi dirigenti europee verso il liberalismo. Da un lato, entrava in crisi un’idea di ordine internazionale fondato su trattati supportati da un canone di valori generalmente accettati, su un equilibrio di poteri che poteva essere raggiunto solo se i regnanti fossero stati pronti a limitare l’autonomia del proprio Stato, appoggiando un principio di sicurezza collettiva attraverso un sistema legale di alleanze. D’altra parte, la lotta socialista alla Francia repubblicana condusse ampi strati della popolazione su posizioni antirivoluzionarie; molti tra coloro che avevano simpatizzato con correnti riformistiche cominciarono a considerare il socialismo «come una logica conseguenza del liberalismo» (p. 16). Il movimento conservatore assunse allora precisi contorni, non potendosi individuare «via di mezzo tra la rivoluzione da un lato e l’ordine e la stabilità dall’altro» (p. 34). Nel continente europeo, però, le élite conservatrici condivisero con l’avversario socialista un fraintendimento gravido di conseguenze: proiettare la risoluzione della questione sociale sul piano del conflitto politico, finendo col negare un effettivo campo d’azione alla rappresentanza sociale.
La proiezione politica degli assunti etico-sociali, inoltre, orientò la contrapposizione dei conservatori alle aspirazioni nazionali, che minacciavano Stati storici, e al crescente «“statalismo” dei liberali», che accettavano la centralizzazione del potere «a condizione che esso fosse nelle mani del popolo e desse voce alla volonté générale» (p. 17). Scriveva Blome nel 1857: «Libertà civile e decentralizzazione, là giace il futuro dell’Europa» (p. 92). Egli vedeva, invece, la politica internazionale dettata sempre più da visioni nazionali, che giunsero a incrinare anche i rapporti tra le potenze conservatrici austriaca e prussiana. La scelta operata dal «reazionario» Bismarck, alleatosi con il liberal-nazionalismo, era opposta a quella sostenuta da Blome e dagli eredi del Metternich. L’impossibilità di un accordo tra le due prospettive si manifestò nella crisi del 1865 e nel conflitto del 1866. La sconfitta austriaca fece del Bismarck un eroe del Leviatano.
«Il periodo 1866-71 fu un punto di svolta nella storia europea» (p. 126); per i conservatori e per Blome apparve come la sconfessione del loro progetto. Il successo di Bismarck li spinse a continuare la battaglia politica su altri campi: affiancarono, allora, la resistenza della Chiesa alle pressioni dello Stato liberal-costituzionale e la resistenza dei corpi sociali alle conseguenze nefaste del capitalismo. La ricostruzione della biografie individuali e collettive lascia qui emergere una problematica di ampio respiro: l’approccio politico dei conservatori alle relazioni con la Chiesa cattolica conteneva, infatti, una interna difficoltà a sovrapporsi alla mobilitazione cattolica. La graduale trasformazione del Blome in un cattolico «intransigente» e «papista» era stata orientata dal suo conflitto ideologico con lo «Stato onnipotente». Insomma, «le sue idee sociopolitiche determinavano in larga misura la sua posizione religiosa» (p. 234). Mossi dalle loro riflessioni sulla legittimazione del potere, i conservatori aderivano agli «inamovibili principi della Chiesa cattolica» per alimentare la lotta pontificia contro l’onnipotenza dello Stato; collegando élite e strati popolari, essi speravano di acquisire un’ampia base di sostegno al fine di ricostituire un ordine conservatore e cristiano. La Chiesa cattolica poteva diventare «un partner solidale per la difesa degli interessi conservatori», e perciò «essere messa al servizio del mantenimento dell’ordine morale e politico» (p. 51).
Non era questo, tuttavia, l’orizzonte della Chiesa cattolica. Nello sconcerto seguito alla breccia di Porta Pia il Vaticano si mostrò disponibile al sostegno offerto dalla composita rete di conservatori europei (carlisti spagnoli e legittimisti francesi, ultramontani belgi e soci della St. Michaelsbruderschaft austriaca), già sperimentato nella polemica giornalistica sul Concilio. Non fu disposta, tuttavia, a confondersi con piani di restaurazione di monarchie cristiane e, comunque, con alleanze politiche che minassero l’unità del popolo cattolico intorno al papa. Tale distinzione crebbe nel tempo, come evidenzia la genealogia dell’associazionismo laicale a difesa della Chiesa, ben ricostruita da Lamberts. Certo, Blome e i suoi corrispondenti furono al centro della nascita della Correspondance de Genève nel 1870, del Comitato di Ginevra nel 1871, dell’Unione di San Pietro nel 1877, di Casa Salmini nel 1878, dell’Unione di Friburgo nel 1885, della Freie Vereinigung katholischer Sozialpolitiker del 1883, dei Congressi internazionali di Liegi dal 1886 (influendo sulle prime esperienze cristiano-sociali e democratico-cristiane). Fin dal 1872, tuttavia, si aprì un contrasto sulla leadership della cd. Internazionale nera, promossa da élite conservatrici e ultramontane a sostegno della protesta pontificia, che la S. Sede non intendeva lasciare nelle loro mani, evitando anche di legittimarla presso gli episcopati nazionali; dal 1873 il Vaticano ne moderò l’attività e poi la chiuse nel novembre 1876.
Proprio negli ultimi anni di Pio IX giunse, infatti, un momento di svolta, ben avvertito nel movimento conservatore. La S. Sede si preparava a confrontarsi con le istituzioni liberali al potere affrontandoli sul loro terreno: la mobilitazione dei popoli cattolici divenne lo strumento di tale indirizzo. Non intendeva, però, identificarsi con un’ideologia (sia pur ultramontana o conservatrice); in tal senso diffidava di coloro che suggerivano missioni e prospettive che non fossero quelle di affermare la libertà della Chiesa. Le successive iniziative politiche dei conservatori si trovarono, così, nell’alternativa di accettare l’orientamento vaticano o di fare proposte che non potevano coinvolgere il Vaticano. Il progetto conservatore si inceppò e dal 1877 un pluralismo di responsabilità socio-politiche e culturali del laicato si espresse nella «stagione» dei congressi cattolici. Paradossalmente, sarà la montante ideologia anticlericale a suscitare maggiori legami tra gerarchia e laicato, a favorire la politicizzazione della presenza sociale cattolica e poi il formarsi dei partiti d’ispirazione cristiana. Alla Chiesa, non come organizzazione ma come principio etico-morale, i conservatori fecero ancora ricorso per rilanciare negli anni Ottanta la resistenza contro l’invadenza statale nella vita socio-economica; la loro elaborazione sociale, peraltro, intese sollecitare un pronunciamento della Chiesa, che si realizzò, infine, con la Rerum Novarum.
Dopo di allora, tuttavia, il contributo conservatore a contenere il Leviatano parve inabissarsi in un fiume carsico. Lamberts, tuttavia, ritiene opportuno segnalare la sua riemersione, offrendo una prospettiva di lungo periodo che, in fondo, è uno dei principali moventi del libro. La Prima guerra mondiale, così, appare «un risultato della politica internazionale» contrastata da Blome e sviluppatasi fin dagli anni Sessanta dell’Ottocento, «una guerra totale tra i grandi Stati-nazione» che diede «slancio alle ideologie estreme – il bolscevismo a sinistra e il fascismo a destra – che facevano perno sull’onnipotenza statale per realizzare la loro visione della società. Il Leviatano era ormai scatenato» (p. 334). Il superamento dei totalitarismi dopo la Seconda guerra mondiale nell’Europa occidentale, tuttavia, attinse alle strategie conservatrici e cattolico-sociali di fine Ottocento, recuperandole all’interno di una struttura statale liberal-democratica. Il realizzarsi di tale convergenza nella culture politiche di Adenauer, De Gasperi e Schuman promosse una permanente barriera alla divinizzazione dello Stato, la proposta di un ordine internazionale che superasse il nazionalismo, la connessione tra libero mercato e giustizia sociale, prevedendo un’interazione tra Stato e organizzazioni sociali. Lamberts non trascura, certo, la profonda influenza che su tali processi esercitarono gli Stati Uniti. Sostiene piuttosto che l’innegabile attrattività che l’integrazione europea esercitò nel corso del tempo sia stata in gran parte debitrice alla cultura europea di contenimento del Leviatano, rimasta minoritaria nella seconda metà dell’Ottocento, ma riemersa nelle culture politiche che la sostennero nel secondo dopoguerra. Forse Lamberts si spinge troppo oltre? Oppure con questa tesi omnicomprensiva riesce a tenere le fila di una narrazione ricca di informazioni? Il volume pone, comunque, molti più problemi di quelli che intende sciogliere. Ma non è questa la strada del dibattito storiografico?

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Replica di Emiel Lamberts 

In addition to the multifaceted analysis of Andrea Ciampani, it can be useful to emphasize that La lotta con il Leviatano is dealing with a long-term history which trancends the biography of Gustav von Blome. The study mainly focuses on the organization of the modern State and more particularly on the implementation of its tasks and its social impact. It highlights how the expanding power of the State was gradually restrained, not only by providing a protective legal status for the individual citizens, as was promoted by the Liberals, but also by a firmly organized civil society. The book mainly focuses on the latter aspect, namely the role of the ‘social fabric’ as a counterbalance against the power of the State.

Especially conservatives who felt that society was not so much based on individuals, as on natural groups, such as families, local communities, professional organizations and religious communities, were sensitive to this aspect. They found a powerful ally in the Catholic Church, which experienced a revival in the nineteenth century and forcefully defended its independence and social impact. Conservative and Church circles were to strive together to restrain the power of the State through a ‘social strategy’, which had ramifications in the political and religious spheres as well as in the social field.

In the political sphere conservatives like Blome distinguished multiple layers in the political construction, from a regional to the international level. Out of respect for the local communities they advocated decentralization and federalism. At the same time, they were strongly in favor of a supranational cooperation. In the religious sphere, many conservatives set their hopes on the Catholic Church in order to achieve a stable socio-political order in Europe. Moreover, they expected the Church to act as a counterbalance against the growing power of the centralized nation states. However, as Ciampani correctly indicates , the Church non identified herself completely with the political agenda of the conservatives. In the social sphere, social-minded aristocrats as Blome fought the excesses of capitalism. The social needs of workers and peasants were to be remedied mainly by the formation of social associations and professional organizations, which at the same time were seen as a counterweight to an omnipotent state. Nevertheless, they felt that, pending the restoration of binding forces in society, the State was called to restore solidarity among people by means of a cohesive social legislation. It was through their corporative social ideology that conservatives like Blome would establish a link with the emerging Christian democracy at the end of the 19th century.

The ‘social strategy’ used to subdue the Leviathan, symbol of the omnipotence of the State, had a great influence on Christian democracy, which became very influential in continental Western Europe after 1950. Via the process of European integration an international system was established that transcended the nation states. At the same time, the idea prevailed that society had to be built bottom-up. In the religious sphere the post-war climate of freedom benefited the churches, whose rights and freedoms were henceforth explicitly guaranteed by new constitutions in several West European countries. In the social sphere Christian democrats, inspired by ‘neo-corporative’ formulas, where shaping so-called ‘social capitalism’. They strove to combine the free market with social justice, to be realized in an harmonious cooperation between the State and different types of social organizations. Ultimately, they reconciled the ‘social strategy’ developed to restrict the power of the State with the ‘liberal strategy’ that was aimed at guaranteeing the inalienable rights and freedoms of the citizens. Both strategies became interwoven and gave shape to post-war West European society.

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