Di Silvia Benini (Università di Pavia)
È di fine dicembre 2023 la notizia che ventisei paesi del Consiglio europeo (con l’astensione dell’Ungheria di Orban) abbiano dato il via libera per l’avvio dei negoziati di adesione con l’Ucraina e la Moldavia. Un risultato definito «storico» da alcuni media, e subito festeggiato dal presidente ucraino Volodymyr Zelensky, ma accolto con un certo distacco dalla popolazione dell’Unione. Infatti, da un sondaggio dello European Council on Foreign Relations, pubblicato pochi giorni prima dell’accordo, è emerso come tra i cittadini di alcuni paesi UE prevalga lo scetticismo rispetto all’adesione ucraina, e come per la maggior parte degli intervistati questa avrà conseguenze negative per l’Unione[1].
Senza voler entrare qui nel merito di questa freddezza per un eventuale ingresso dell’Ucraina, in parte indubbiamente condizionata dalla guerra in corso, vale però la pena interrogarsi sul perché il processo di allargamento dell’Unione verso Est sia percepito in maniera generalmente negativa, specie dai paesi occidentali. Se alla base vi sono sicuramente preoccupazioni per la tenuta economica, è indubbio che esistano anche timori culturali, legati a una presunta disomogeneità tra le società civili dei “vecchi” e “nuovi” membri. Non a caso, Jean Monnet rispondeva a chi gli domandava se fosse soddisfatto del lavoro di integrazione europea che: «se dovessi ricominciare, comincerei questa volta dalla cultura». A mancare, cioè, sembra essere una cultura europea comune, forgiata dalla pluralità e dalla coscienza della sua diversità.
Da cosa nasce dunque questa mancata coesione e, di conseguenza, lo scetticismo verso qualunque ipotesi di allargamento? Una prima risposta – non l’unica e certamente non esaustiva – la si può formulare sfogliando i manuali di storia e guardando come questi affrontino non solo il processo di integrazione europea ma, più in generale, la storia recente del continente e dei suoi confini. Da un’analisi dei manuali italiani per l’ultimo anno delle scuole medie pubblicati tra il 1989 e il 2017 è emerso che l’Europa orientale riveste un ruolo del tutto marginale.
Nel trattare la storia del Novecento, l’attenzione dei diversi autori è focalizzata principalmente sulla porzione occidentale del continente. In altre parole, l’Europa viene presentata sì come soggetto storico (più dei singoli Stati che la compongono) e protagonista di cambiamenti politici, culturali, sociali e ideologici, ma questi cambiamenti sono analizzati quasi esclusivamente in riferimento alla sua porzione occidentale. I paesi dell’Est acquistano una maggiore rilevanza – anche da un punto di vista grafico e cartografico – solo con i due conflitti mondiali. In particolare, l’Europa dell’Est assume una prima centralità nel trattare le conseguenze della Prima guerra mondiale e i nuovi assetti territoriali, con la nascita di diversi stati nazionali, compresa l’Ucraina. Tuttavia, già nel presentare il periodo tra le due guerre, l’attenzione dei manuali torna ad essere sulla sfera occidentale, inclusi gli Stati Uniti. Sono pochi infatti i testi, e non necessariamente i più recenti, che inquadrano l’ascesa dei governi autoritari e dittatoriali in quegli anni come fenomeno europeo – includendo ad esempio i casi di Polonia, Romania, Grecia e Ungheria – focalizzandosi principalmente su Italia e Germania. Ancora una volta è poi la guerra – in questo caso il Secondo confitto mondiale – a far tornare i paesi dell’Est pienamente in seno alla narrazione europea. Ciò avviene nel presentare non solo i diversi fronti bellici, ma anche, e soprattutto, la dimensione ideologica del conflitto, il coinvolgimento delle popolazioni civili, lo sterminio degli ebrei e l’emergere di gruppi di resistenza.
Dal 1945 in poi l’Europa tutta appare nei manuali non come soggetto dell’azione storica ma, per lo più, come teatro di azione delle due superpotenze. E tuttavia, l’attenzione per l’Est europeo rimane presente, grazie a paragrafi che si occupano della storia politica, sociale ed economica di alcuni dei paesi del blocco sovietico, e alle rivolte che qui si scatenarono, con particolare riferimento a Polonia, Ungheria e Cecoslovacchia. Nonostante questa maggiore attenzione (ancorché scontata, data la portata degli avvenimenti), però, non si può non notare una differenza sostanziale nella trattazione dell’Europa dell’Est rispetto a quella dell’Ovest. Innanzitutto, quando si tratta di quest’ultima porzione dell’Europa, gli autori iniziano ad andare oltre la storia dei singoli Stati – pur presente – per tracciarne linee di sviluppo sociali, politiche ed economiche comuni. In secondo luogo permane una sorta di “bias linguistico” degli autori che utilizzano il termine Europa indifferentemente per riferirsi al continente nel suo insieme o alla sua sola porzione occidentale, mentre, al contrario, quando fanno riferimento alla porzione orientale, viene sempre specificato. Una narrazione “corale” che veda protagonista l’Europa nel suo insieme non si rintraccia nemmeno nella trattazione del post-1989, spesso nemmeno nei testi più recenti. La caduta del muro, infatti, non viene vista tanto come un momento di svolta per l’Europa, quanto più come segno della fine della Guerra fredda, le cui conseguenze vengono analizzate presentando, caso per caso, i singoli paesi dell’Est europeo.
Le cose non cambiano molto se si guarda più specificamente ai capitoli dedicati al processo di integrazione europea. La prospettiva dell’allargamento ad Est viene presentata solo nei testi pubblicati dopo il 2004, quando un primo ampliamento era già avvenuto, mentre nei testi precedenti non viene menzionato né come possibilità né come auspicio. Anche una volta avvenuto, però, questo continua ad essere presentato come una sfida, sia in termini economici ma, soprattutto, in termini istituzionali, data la necessità di trasformare le strutture UE affinché siano in armonia con una comunità molto più ampia di quella iniziale. Sono pochi i manuali che salutano tale novità con entusiasmo, sottolineando come questa segni una svolta nella storia europea, portando il continente a superare la spaccatura che lo aveva diviso per tutta la Guerra fredda.
In conclusione, sebbene non si possa tracciare una correlazione diretta tra i manuali scolastici e le opinioni dei cittadini europei verso l’ampliamento dell’Unione, questa continua marginalizzazione dell’Est europeo nella narrazione storica non può che portare a un perdurare di una sensazione di estraneità da parte dei vicini occidentali, rendendo l’idea di “unità nella diversità” – su cui pure tutti i testi insistono molto, nel tentativo di creare un immaginario comune – lettera morta.
[1] B. Romano, L’Ucraina nell’Ue? Tra i cittadini europei prevale lo scetticismo, «Il Sole 24 Ore», 12 dicembre 2023, da: https://www.ilsole24ore.com/art/l-ucraina-nell-ue-i-cittadini-europei-prevale-scetticismo-AFmCB40B