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Vengono a voi in vesti da pecore, ma dentro sono lupi rapaci». Hunters e la banalità del male

Silvia Pizzirani (Università degli Studi di Milano)
Carlo Ludovico Severgnini (Università degli Studi di Bologna)

La New York del 1977 che vediamo su Hunters non è molto diversa da quella che conosciamo storicamente: la cultura hip hop muove i suoi primi passi dal Bronx, la notte tra il 13 e il 14 giugno un impressionante blackout sconvolge la città ed ex nazisti continuano a lavorare nella Nasa grazie all’Operazione Paperclip. Questa era unprogetto di reclutamento di scienziati, tecnici ed ingegneri promosso dal governo statunitense tra il 1945 e il 1959 (a cui l’Urss rispose con l’Operazione Osoaviakhim nel 1946) allo scopo di accaparrarsi le risorse intellettuali presenti nella Germania sconfitta. La differenza sta nella presenza di un deep State negli USA, un tief Reich che, capitanato da Eva Braun viva e vegeta, cerca di portare avanti i progetti hitleriani di dominazione mondiale. L’organizzazione si è infiltrata in punti chiave del mondo economico e delle istituzioni democratiche come una piovra per mettere in atto un piano di pulizia etnica sfruttando i meccanismi della stessa società dei consumi di massa americana. Il piano nazista si scontra con gli Hunters, un variegato gruppo di cacciatori di nazisti fondati dall’imprenditore di successo e sopravvissuto ad Auschwitz Meyer Offermann insieme alla superstite Ruth Heidelbaum, altra leader del gruppo. L’assassinio di quest’ultima apre la serie e conduce suo nipote, Jonah, a unirsi agli Hunters.

Giocando con gli elementi dell’ucronia e della realtà storica, questa serie ci pone davanti a interrogativi che riportano la morale nel politico, rendendo le questioni particolarmente complesse. Quanto bisogna essere cattivi perché sia giusto ed etico essere eliminati? Ed è giustificato solo per prevenire o anche per restituire una forma di senso alla sofferenza causata? Infine, la vendetta privata con l’omicidio è allo stesso livello del processo pubblico con la previsione di pena di morte? A questi interrogativi, che si pongono nella scia della discussione scaturita ormai duecentosessanta anni fa con l’opera di Beccaria, si aggiungono le domande sorte nel corso del secondo Novecento con lo sviluppo del diritto penale internazionale. Può la sofferenza di precedenti generazioni (la catastrofe della Shoah, in questo caso) legittimare l’adozione di prassi e narrazioni simili a quelle del tuo nemico, come quella del popolo prescelto? Quali conseguenze ha sulla considerazione morale delle proprie azioni, sia come individuo sia come gruppo? La terribile rivelazione su Meyer Offerman del finale della prima stagione, approfondita nella seconda stagione, mostra chiaramente come non ci possa essere riscatto (politico e morale) senza l’impiego di un metodo e di un atteggiamento morale rinnovato e antitetico. Non è un caso che il gruppo si definisca “Cacciatori”, poiché c’è la medesima dinamica di predazione che era la stessa portata avanti dai nazisti e non è una caccia metaforica, come invece era quella di Simon Wiesenthal, il cui lavoro di documentazione e individuazione dei criminali tedeschi assicurò alle corti di giustizia in Europa e in America molti ricercati. In breve, non si può redimere un passato nazista con metodi nazisti, né la giustizia antinazista può adoperare gli stessi metodi di chi persegue, poiché un conto è giudicare, punire e correggere (se si vuole comunque considerare la più brutale forma di giustizia), un conto è purificare eliminando, elevandosi a giudice e boia al contempo. Chi laverebbe col sangue delle mani sporche di sangue?

Oltre a mettere chi guarda davanti a un avvincente alternarsi di incalzanti scene d’azione e drammatici flashback ai tempi di Auschwitz, Hunters ci mostra la denazificazione incompiuta non solo delle due Germanie, ma anche dell’Occidente stesso che viene colonizzato e rinazificato, costruendo un filo rosso che, seguendo le rat line che hanno portato molti nazisti in Sud America, mostra come questo nuovo nucleo eversivo promuova politiche neoliberiste per raggiungere i propri scopi, appoggiandosi anche al complesso politico-finanziario-industriale sudamericano (che era sostenuto e supportato, come è noto, dalla stessa politica statunitense). Questo è il grande compromesso delle democrazie occidentali, un boccone veramente complicato da digerire, che risulta evidente nella linea di trama dell’agente Morris, dove i risultati dell’operazione Paperclip sono sotto gli occhi di tutti: fu Wernher von Braun a guidare gli USA nella corsa missilistica e spaziale. Pur di non lasciare ai sovietici alcun vantaggio, ci si fa andare bene i nazisti che, tutto sommato, per lo status quo sono meno pericolosi di socialisti e comunisti (ah, queste vibe da biennio rosso!). Se si dovesse poi guardare la costituzione delle forze armate della RFT nel 1955, anno della rifondazione dell’esercito tedesco col nome di Bundeswehr, non si troverebbe un solo nome “pulito” (e lo stesso vale, va ricordato, per l’esercito della RDT). Insomma, i nazisti non hanno cessato di esistere con l’8 maggio 1945 o dopo il processo di Norimberga, come ben rivelò Johnny Burchardt a Colonia nella serata per le celebrazioni del carnevale del 1973 (link al video: https://www.youtube.com/watch?v=Ang6Fw9Ff2k).

Cos’è stata quindi la denazificazione? E cosa possiamo dire noi italiani, che neanche abbiamo avuto una nostra Norimberga? Nonostante la prova di sangue della Resistenza e dei molti militari che presero parte alla guerra civile contro la RSI, non possiamo dire che l’intero apparato amministrativo e repressivo, alti e medi gradi dell’esercito e delle milizie, la magistratura e le istituzioni educative e culturali siano state defascistizzate nei fatti con la rimozione o la rieducazione del personale. Si può denazificare un’intera nazione? Se sì, come? Questo ci conduce a un quesito molto spinoso, ossia se sia recuperabile come criminale un nazista e se sia in qualche misura reintegrabile nella società. La domanda tocca i fondamenti stessi dell’apparato di correzione dei comportamenti criminali e all’enorme dibattito sulla rieducazione (inserita come scopo delle pene comminate ai condannati nella Costituzione della Repubblica Italiana all’art. 27).

Un ultimo aspetto importante portato dall’ucronia di Hunters viene dal finale (spoiler!).

Grazie all’attività del gruppo, Hitler viene trovato e catturato in Argentina (proprio come il suo burocrate Eichmann). Invece di eliminarlo sul posto, si decide di sottoporlo a processo che, dato importante, non avviene in Israele ma in Germania davanti a una corte internazionale e, colmo del tragico, il suo avvocato difensore è di origini ebraiche e svolge con scrupolosità il suo dovere, nonostante la ripugnanza per il mostro che è il suo cliente. La scelta del processo pubblico davanti a una corte internazionale ha un grande significato, ascrivendo la Shoah all’offesa all’umanità e non a un solo popolo che, per quanto principale obiettivo dei crimini, non era il solo coinvolto nella catastrofe e che non potrebbe quindi farne una bandiera esclusiva per perpetrare narrazioni di eccezionalità e predestinazione. Quale sarebbe, infatti, la differenza tra la vendetta di un popolo e la vendetta di un singolo? Quale comunità deve considerarsi in diritto di procedere col giudizio di un individuo e quale diritto applicare?

Merito di Hunters non è, in definitiva, quello di rispondere a tutte queste domande ma è quello di porle, permettendo a chi guarda di interrogarsi su questioni tutt’altro che risolte della nostra storia e del nostro presente

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