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In ricordo di Marilyn Young

Di: Mario Del Pero (CHSP)

Marilyn B. Young è morta il 19 febbraio scorso nella sua casa di New York. Ad aprile avrebbe compiuto 80 anni e solo a settembre aveva deciso di smettere d’insegnare al dipartimento di Storia della New York University, dove lavorava dal 1980. Marilyn si era dottorata a Harvard, nel 1963, sotto la guida di Ernest May e John Fairbank. La sua tesi, che poi divenne il suo primo libro (The Rhetoric of Empire: American China Policy, 1895-1901, Harvard University Press, 1968), ebbe per oggetto l’ascesa imperiale degli Stati Uniti di fine Ottocento: quel peculiare imperialismo della “porta aperta” sul quale una nuova generazione di studiosi e studiose, dei quali Marilyn fu esponente e capofila, si stava concentrando. Forte ed evidente era l’influenza del grande storico revisionista William Appleman Williams che nel 1959 con il suo The Tragedy of American Diplomacy aprì una stagione di studi destinata a cambiare il corso della storiografia della politica estera statunitense. Pur non avendo studiato con lui, di Williams Marilyn Young fu una delle più influenti discepole, anche nell’evidente ancorché sottaciuto patriottismo: nell’idea, fortemente eccezionalista, che la svolta imperialista, iniziata a fine Ottocento e poi consolidatasi nel XX secolo con la contestuale edificazione di un vasto apparato militare, costituisse un tradimento e una deriva per un paese che avrebbe dovuto e potuto percorrere un’altra strada.

Era già, quella di Marilyn Young, una storiografia intrisa di passione e impegno civili; lo si vide bene in un’altra grande ricerca che avrebbe portato alla pubblicazione, nel 1991, del suo libro più importante: The Vietnam Wars, 1945-1991 (HarperCollins; tradotto nel 2007 da Mondadori come “Le guerre del Vietnam”). The Vietnam Wars è divenuto negli anni, e rimane oggi, uno dei testi sulla guerra del Vietnam maggiormente utilizzati nei corsi universitari. O, meglio, uno dei testi sulle “guerre”, al plurale, del Vietnam: perché accanto al conflitto militare vero e proprio, nelle sue varie fasi e con i suoi diversi protagonisti, si discute e racconta la guerra interna che lacerò e divise gli Stati Uniti. È questa la parte certamente più ricca, originale e, anche appassionata, di un libro fondato su una bibliografia monumentale e sull’uso della miriade di fonti diverse prodotte dai tanti pezzi del movimento pacifista che sorse in quegli anni negli Usa e nel quale Marilyn militò a lungo. Da un lato, il libro espone l’ottusa arroganza, la hybris, di un establishment incapace di liberarsi dagli schemi, ideologici e binari, della guerra fredda; dall’altro, illustra la forza politica di una mobilitazione dal basso capace in ultimo di contribuire alla fine dell’intervento.

The Vietnam Wars uscì nel 1991. Iniziava allora un’altra stagione di guerre americane, con un intervento militare in Iraq che, affermò l’allora Presidente George H. Bush, permetteva finalmente agli Stati Uniti di liberarsi dalla “sindrome del Vietnam”. Declinato spesso come “umanitario”, questo nuovo interventismo militare aprì una discussione nella quale centrale fu il confronto tra le presunte “lezioni della storia”: i precedenti con i quali i decisori potevano e dovevano confrontarsi. Alla lezione (e all’ombra) del Vietnam si tornò a contrappore quella classica degli anni Trenta e dell’appeasement, un’analogia invocata costantemente nei primi due decenni della Guerra Fredda. Per Marilyn Young la lezione del Vietnam era però inequivoca e universale. La nuova fascinazione per la guerra – e per una guerra fattasi ora asettica e praticamente invisibile – la colse di sorpresa. E la portò, negli ultimi due decenni, a modificare o almeno ricalibrare l’oggetto dei suoi studi. Che si concentrarono sulla retorica e le pratiche della guerra; su quello che, riprendendo un fondamentale lavoro di Russel Weigley (The American Way of War, Indiana University Press, 1973), non esitava a considerare un “modo americano” di fare e narrare la guerra. Non scrisse più nessun libro e il suo grande progetto di una storia dell’intervento americano in Corea fu infine riposto (“ho fatto l’errore di vincere delle fellowship e di avere troppo tempo da passare in archivio”, era solita scherzare, “e alla fine mi sono trovata con una mole di documenti non più gestibile”). Ma produsse importantissimi articoli oltre a curare numerosi volumi nei quali frequente era la comparazione tra il Vietnam e i nuovi conflitti statunitensi. Come disse nel 2011 in occasione del suo Presidential Address al convegno annuale della Society for Historians of American Foreign Relations (SHAFR), “ho trascorso gran parte della mia vita d’insegnante e studiosa a scrivere e riflettere sulla guerra. Sono passata da una guerra all’altra, da quella del 1898 e dalla partecipazione degli Usa alla spedizione contro la ribellione dei Boxer all’intervento nella guerra civile cinese alla guerra in Vietnam, per poi tornare indietro a quella in Corea e ancor di più alla Seconda Guerra Mondiale e infine di nuovo avanti alle altre guerre del XX e del XXI secolo. Al principio, scrivevo di tutto ciò come se guerra e pace fossero chiaramente distinte: pre-guerra, guerra, pace, dopoguerra. Con gli anni questa progressione di guerre mi è parsa non tanto una progressione quanto una continuazione: come se tra una guerra e l’altra il paese fosse sospeso, in attesa”.

L’attività scientifica, pur rilevantissima, di Marilyn Young ci dice ancora poco di ciò che è stata per la disciplina e per la nostra comunità. Marilyn Young ha rappresentato un modello di disinteressata generosità intellettuale e personale, come legioni di colleghi, studenti e amici possono testimoniare. Fosse una lettera di referenza da scrivere, un capitolo di libro o di tesi da commentare, un cattivo inglese da editare, Marilyn era sempre disponibile. Lo sanno bene i tanti colleghi e colleghe italiani che hanno avuto modo di conoscerla. Una cattedra Fulbright a Bologna prima, nel 1995, e alcuni periodi d’insegnamento al centro bolognese della Johns Hopkins poi la portarono a trascorrere molto tempo in una città che imparò ad amare e dalla quale fu amata.  E alla quale, come a tutti noi, mancherà moltissimo.

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