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La nascita della televisione italiana e il suo impatto sociale

Margherita Moro (Università di Roma “La Sapienza”)

Quando la televisione debutta ufficialmente il 3 gennaio 1954, è ovviamente un mezzo ancora senza una storia consolidata e privo di regole rigide. Gran parte della programmazione mira ad accontentare quelle necessità che la televisione di uno Stato da poco uscito da un conflitto mondiale avrebbe dovuto soddisfare. Il piccolo schermo, agli inizi sotto il controllo della Democrazia Cristiana e stimolato dalle direttive del Vaticano, dal 1954 si impegna a diffondere l’immagine di una televisione utile diventando quindi lo strumento necessario per accompagnare l’Italia nel processo di modernizzazione e acculturazione di massa.

La RAI di quegli anni sembra porsi diversamente rispetto alla questione del profitto economico e dell’efficienza organizzativa, poiché le entrate non dipendono dai risultati dei servizi offerti: il “biglietto”, in questo caso, si paga in anticipo. Il canone di abbonamento che ogni possessore di televisione deve pagare è così una risorsa garantita e in costante crescita con l’aumento del numero di abbonati, e per questo motivo non presenta i problemi che negli stessi anni deve affrontare il cinema, che deve invece porsi sin da subito il problema del tornaconto economico. A queste entrate si sommano poi i ricavi della pubblicità, regolamentati dal governo per proteggere la carta stampata. Ci possono essere questioni legate agli indici di ascolto e di gradimento, ma in regime di monopolio non sembrano destinati a creare grosse difficoltà.

Questi sono alcuni dei motivi per cui la RAI, inizialmente, ha dato maggiore attenzione a questioni politico-culturali invece che economiche, instaurando un rapporto di dipendenza con la politica così forte da permettere a quest’ultima di influenzare la scelta della programmazione e del palinsesto.

I dirigenti di quel periodo intendono rendere la RAI uno strumento insostituibile, capace di interpretare, utilizzare e valorizzare, attraverso un progetto di cultura e spettacolo, tutte le risorse che la società è in grado di offrire. Nei suoi primi venti anni, la RAI è caratterizzata da due figure chiave legate al progetto educativo della televisione: Filiberto Guala, amministratore delegato della RAI dal 1954 al 1956, ed Ettore Bernabei, direttore generale dal 1961 al 1974. Nel progetto di Guala è subito presente la componente educativa su cui si fonda la programmazione televisiva per almeno quindici anni, durante i quali la televisione ha a tutti gli effetti risposto all’esigenza di educatore collettivo. Lo stesso intento educativo si trova nell’operato di Ettore Bernabei alla RAI, impegnato a sviluppare una produzione televisiva che rivede nella gestione del palinsesto uno snodo obbligato, controllabile con funzione educativa o politica. Questa visione, che sia Guala che Bernabei consideravano un’impresa nazionale, con l’obiettivo di unificare l’Italia dal punto di vista linguistico e culturale, era in linea con il palinsesto di molti altri paesi europei. Si tratta quindi di un contesto che sembra avere come obiettivo principale quello di considerare il tanto temuto mezzo di comunicazione, che mise in forte crisi il cinema, non solo come una scatola del divertimento, ma anche, e soprattutto, come supporto per un progetto culturale legato al sapere e alla conoscenza.

La televisione delle origini, quindi, ha due funzioni ben definite: la prima è legata alla possibilità di dare visibilità agli italiani, nel senso di rappresentazione e autorappresentazione, come già avvenuto in parte nel cinema, ad esempio con il Neorealismo. La seconda è incentrata sui meccanismi che possono rendere una collettività più consapevole di se stessa, offrendo dunque le opportunità per riconoscersi e immaginarsi come un insieme unico che affronta un futuro comune.

Se si parla di un unico insieme, bisogna però considerare che almeno per tutti gli anni Sessanta questa concezione collettiva di un “noi”, mosso da necessità comuni, resta qualcosa di utopico e poco realizzabile. La televisione non è un mezzo a cui tutti possono accedere sin da subito, e il consumo televisivo varia con tempi e modalità differenti in base all’area geografica e alla provenienza sociale. Tuttavia, nel corso degli anni, il fenomeno sociale e collettivo del “guardare la televisione” si trasforma, diventando un processo più privato e domestico.

L’aspetto sociale del nuovo medium mette quindi in gioco una diversa condivisione dell’esperienza sociale dell’ascolto, una fruizione culturale di un sapere collettivo che dà la sensazione di essere alla portata di tutti. Come accadde con la carta stampata e con la radio, anche la televisione, al momento della sua nascita, si pone il problema di come democratizzare la cultura, rendendola accessibile a tutti e rendendo il sapere una componente essenziale al progresso sociale.

L’avvento della televisione, di fatto, apre le porte a una divulgazione di massa che permette, almeno in apparenza, l’approfondimento di temi vari attraverso diverse trasmissioni, sfociando in una sorta di globalizzazione dell’informazione a cavallo tra sfera pubblica e privata.

Raggiungere un numero molto vasto di utenti, grazie alla compenetrazione del mezzo televisivo nella quotidianità degli individui, ha permesso al linguaggio televisivo di rendere il piccolo schermo un medium innovativo per l’epoca.

In conclusione, la televisione di quegli anni ha tra i suoi obiettivi quello di concentrarsi principalmente su un aspetto educativo-informativo, tanto che nella sua prima fase, infatti, della triade “educare, informare, divertire”, pilastro dell’intero palinsesto, è soprattutto l’aspetto educativo a guidare la logica della programmazione.

Rifermenti bibliografici

– L. Barra, Palinsesto. Storia e tecnica della programmazione televisiva, Laterza, Bari- Roma, 2015.

– D. Garofalo, Storia sociale della televisione in Italia, Marsilio, Venezia, 2018.

– A. Grasso, Prima lezione sulla televisione, Laterza, Bari – Roma, 2011.  – G. Richeri, La televisione italiana e il mercato. Pensare alla RAI come un’impresa, in M. Cucco, F. di Chiara (a cura di), I media industry studies in Italia: nuove prospettive sul passato e sul presente dell’industria cine-televisiva italiana, in «Schermi. Storie e culture del cinema e dei media in Italia», III, n.5, 2019. 

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