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Ricerche di Storia Politica: trent’anni e non sentirli (1986-2016)

“La legge dei trent’anni”. Secondo una vecchia norma relativa agli archivi dello Stato dopo trent’anni si selezionano i fascicoli che vale la pena di conservare per sempre – e che vanno a costituire l’archivio storico – e si scartano gli altri. Si considera cioè che dopo trent’anni si inizi ad entrare nell’ambito delle valutazioni storiche. Traendo spunto da questa legge, tra il serio e il faceto, ne approfittiamo per lasciare qualche traccia della nostra storia.

Interventi di Paolo Pombeni e Fulvio Cammarano

Fulvio Cammarano:

Se devo ricordare le origini di “Ricerche di Storia Politica” non posso non riandare a quella frase con cui Paolo Pombeni, nei primissimi mesi del 1986, mi sorprese non poco. Mi trovavo nella segreteria dell’appena nato Dipartimento di Politica, Istituzioni, Storia quando Pombeni entrando mi disse “Dobbiamo fare una rivista nostra”. Non so da quanto tempo avesse maturato una tale convinzione, quello che è certo è che non ne aveva mai parlato nel ristretto gruppo di giovani storici che stavano da alcuni anni lavorando ad un progetto di rifondazione della storia politica a partire dal tema del partito. Le motivazioni erano, però, inoppugnabili: l’impostazione comparata e soprattutto l’utilizzo della strumentazione delle scienze sociali rendevano la nostra produzione poco appetibile per le redazioni delle riviste storiche esistenti. D’altronde il gruppo di cui, tra gli altri, facevano parte, oltre al sottoscritto, Maria Serena Piretti, Maurizio Ridolfi, Romilda Scaldaferri, era già da alcuni anni ben visibile in ambito storiografico poiché si era dato una struttura organizzativa, il Centro Ricerche di Storia Politica, e soprattutto perché il tentativo di dare consistenza storica alla “forma partito” stava producendo molti frutti sia in termini di pubblicazioni (significativo, per metodo e scrupolo filologico, il volume sulle origini della forma partito in Emilia Romagna), sia per quanto riguarda la costruzione di una rete di contatti con studiosi europei, a cominciare, solo per fare qualche nome, da Colin Matthew, Jean-Marie Mayeur, Gilles Le Béguec, Paul Preston, Pierre Rosanvallon, Edgar Feuchtwanger, Manfred Hinz. Ma tutto questo non era sufficiente a penetrare le barriere delle prestigiose, ma spesso chiuse e diffidenti riviste storiche dell’epoca. “Fare la nostra rivista”, con le risorse a disposizione, significò, così, dar vita ad un annale con cui presentare, anche nel settore delle pubblicazioni periodiche, quel nuovo modo di pensare la storia politica. Insomma, si cercava sostanza, non visibilità, come si evince anche dal nome senza “svolazzi” scelto per la rivista: l’esplicito riferimento al Centro, di cui era espressione (e che ancora oggi ne è il proprietario), è in fondo il riferimento alla necessità molto pragmatica di rimboccarsi le maniche e di ripensare la nuova storia politica non a partire dalle polemiche, ma dalle “ricerche”. Tutto si svolse all’insegna del realismo e della praticità, ma anche della mancanza di esperienza. Fu stampato presso la piccola copisteria vicino alla Facoltà di Scienze Politiche, Baiesi, che con noi cominciò a muovere i primi passi nell’ambito delle pubblicazioni universitarie. Non fu dunque un caso che il “numero uno”, uscito alla fine del 1986, contenesse qualche “svarione” di troppo che oggi, con un po’ d’indulgenza, data anche la rarità di quei fascicoli, fanno del primo volume di RSP una sorta di “Gronchi rosa” dell’editoria storiografica.

Refusi e problemi tipografici a parte, scorrendo l’indice dei primi due annali, i soli editi dal Centro Ricerche di Storia Politica prima del passaggio al Mulino, si nota subito la volontà di non intendere la rivista come un recinto corporativo in cui pubblicare i propri articoli, ma al contrario di volersi avviare in modo diretto verso quel confronto con le altre scienze sociali; una prospettiva che rappresentava la cifra culturale di quel gruppo orbitante in un contesto accademico interdisciplinare decisamente stimolante. Un segno evidente dell’intenzione di ripensare l’approccio alla storia politica lo si trova nella pubblicazione, nel primo numero, dell’articolo di Manfred Hinz, allora assistente di letteratura romanza ad Augsburg, che analizzava il significato politico dell’architettura nazionalsocialista. Quello che oggi potrebbe apparire un tema del tutto coerente con quegli studi, non lo era certo nel 1986. Così come appariva senza dubbio pioneristica l’iniziale partecipazione e collaborazione di RSP con studiosi del pensiero politico (Raffaella Gherardi, Gustavo Gozzi) e della Scienza Politica (Piero Ignazi). Non a caso, d’altronde, il tratto distintivo, voluto e pensato, fu da subito quello della centralità delle recensioni della produzione storiografica italiana e straniera. Una scelta che può essere letta sia come indispensabile servizio da offrire ai lettori, sia come consapevolezza della necessità di fondare il nuovo progetto non sul soliloquio, ma sul dialogo, il più possibile polifonico, con gli studi di storia politica intesi nel senso più ampio e comparato possibile. La scommessa oggi può senza dubbio dirsi riuscita. Un’impresa che è stata possibile anche grazie al lavoro di moltissimi collaboratori che si sono alternati in questi anni nel far vivere una rivista in cui la segreteria di redazione ha sempre avuto un ruolo decisivo nel confezionare un prodotto non facile, in costante dialogo con una redazione mano a mano più larga e le diverse direzioni soggette a rotazione. Lo si può dire oggi che la rivista non è più “nostra”, ma ha attirato decine di studiose e studiosi di scuole e sensibilità diverse i quali però si sono tutti rapidamente integrati preservando consapevolmente i pilastri posti trent’anni fa a fondamento di quel temerario progetto.

Hanno lavorato con noi (1986-2016)

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