Andrea Sangiovanni (Università di Teramo)
«In Italia continua a gravare sul fumetto un giudizio poco lusinghiero, che non riconosce la sua facoltà di veicolare contenuti di carattere culturale, lo relega nella categoria della “cultura bassa” o lo considera come uno strumento di comunicazione pedagogica da usare verso bambini o adulti semianalfabeti»[1]. Il severo giudizio che Roberto Bianchi dava in apertura di un numero di “Zapruder” di una decina di anni fa sul Risorgimento nei fumetti non ha perso di attualità, nonostante nel frattempo il fumetto nelle sue varie declinazioni sia diventato uno dei settori trainanti dell’industria editoriale e libraria. Occorre infatti riconoscere che, nonostante esistano ottime ricerche di storia del fumetto, o dei rapporti fra fumetto e storia[2], in Italia il fumetto non è ancora pienamente entrato nella “cassetta degli attrezzi” dello storico né gli è ancora riconosciuta una piena legittimità come oggetto di studio. Probabilmente, oltre al pregiudizio culturale cui rimandava Bianchi, il fumetto sconta la sua natura di medium “povero”, oltre che oggettive difficoltà di reperimento delle fonti perché, essendo sempre stato percepito come un medium di puro consumo immediato, è difficile trovare raccolte complete delle diverse collane.
Per iniziare a superare questi pregiudizi può essere utile una veloce ricognizione in tre fasi della sua evoluzione in Italia, sia in termini di linguaggio, sia come prodotto editoriale: una rapidissima sintesi che va dal secondo dopoguerra alla fine del secolo scorso, e che permetterà anche di comprendere, sia pure per cenni, come il fumetto sia stato – e continui ad essere – una componente non secondaria del panorama culturale italiano.
1. 1948: Il totem misterioso
Alla fine della guerra le edicole tornano a riempirsi di fumetti, oltre che di giornali. Si riattiva infatti quell’abitudine di lettura che si era venuta sviluppando dall’inizio del secolo e che aveva trovato un fertile terreno di coltura durante gli anni Trenta, prima di essere gravemente limitata dalla censura dal 1938 e poi interrotta dal conflitto. I grandi settimanali degli anni Trenta, come L’avventuroso o L’Audace,hanno smesso di uscire nel 1943, ma i loro modelli narrativi continuano ad essere di esempio per le nuove testate come L’Asso di picche, un periodico uscito nel dicembre 1945.
Riprendono in quegli anni ad uscire personaggi che erano diventati famosi negli anni Trenta, come Topolino ad esempio, che nel 1949 assume il formato “libretto” che lo caratterizza ancora oggi e che inizia proprio allora a pubblicare con sempre maggior frequenza storie di autori italiani, dando vita ad una vera e propria scuola Disney italiana.
Gli autori italiani riescono a rendere “italiane” le «maschere» inventate da Disney, ancorandole all’immaginario nostrano e rendendo le loro storie prossime alle vicende e alla nostra cultura. Non è un caso che una delle prime – e più importanti – storie di quegli anni sia L’Inferno di Topolino (Guido Martina e Angelo Bioletto, ottobre-dicembre 1949).
Accanto ad essi, però, arrivano anche nuovi personaggi che in pochi anni diventeranno fra i più importanti del panorama fumettistico italiano. Nel 1948 nasce Tex, pubblicato inizialmente in albi a striscia che nel 1952 verranno riorganizzati in un formato albo che diventerà caratteristico del fumetto da edicola, il cosiddetto “bonellide”. Al di là di questi aspetti di natura industriale, pur importanti, l’eroe scritto da Gianluigi Bonelli e disegnato da Galep reinventa il genere western, fondendolo con la letteratura avventurosa classica, e adattandolo a umori e modelli culturali tipicamente italiani, con un’operazione simile a quella che farà da lì a qualche anno Sergio Leone con il cinema[3].
2. 1965: il fumetto diventa adulto
Campo di tensione fra est e ovest nel clima della guerra fredda, il fumetto continua ad essere considerato un prodotto deteriore della cultura di massa. Esso è contrastato tanto dal PCI che dalla DC, la quale, nel dicembre 1949, presenta tramite la parlamentare Maria Federici Agamben una proposta di legge per la «vigilanza e controllo della stampa dedicata all’infanzia e all’adolescenza». La legge non verrà mai approvata ma, pochi anni più tardi, nel novembre 1962, la comparsa nelle edicole di Diabolik rinfocolerà i pregiudizi contro il fumetto. Scritto da Angela e Luciana Giussani, proprietarie e redattrici della piccola e sconosciuta casa editrice Astorina, “Il re del terrore” (così s’intitola il primo numero) ha un formato tascabile ed è stato pensato per una lettura veloce sui treni dei pendolari. Sia dal punto di vista editoriale che da quello dei contenuti, Diabolik è il prodotto di un paese che sta profondamente cambiando sull’onda del “boom” perché, come ha scritto Vittorio Spinazzola, uno dei primi critici a trattare il fumetto con pari dignità rispetto ad altri generi letterari, le sue gesta registravano e mettevano in luce «la crisi del costume morale e civile» che il paese stava attraversando, pur abbagliato dalle “luci” del miracolo.
La vera novità degli anni del boom è però una rivista che si propone, sin dalla cura editoriale e dal prezzo di vendita, di “nobilitare” il fumetto. Si tratta di Linus una rivista raffinata che vede la luce nel 1965 e che appare come un «corpo alieno» nelle edicole[4] sin dall’articolo che apre il primo numero, una discussione tra Umberto Eco, Elio Vittorini e Oreste Del Buono sull’altezza letteraria dei Peanuts, i personaggi di Charles Schulz che erano stati portati in Italia qualche anno prima proprio dalla casa editrice di Linus, la Milano Libri.
Come ha scritto Daniele Barbieri, «“Linus” ospita il meglio della produzione americana ed europea, di ieri e di oggi, legando l’immaginario del fumetto a quello delle problematiche del presente, vita politica e culturale prima di tutto»: in questo modo, la rivista «sottrae il fumetto al ghetto in cui la cultura italiana l’ha tradizionalmente rinchiuso»[5].
Dalla metà degli anni Sessanta, il fumetto italiano racconterà sempre più spesso la realtà del paese attraverso una molteplicità di generi e strumenti dalle strisce umoristiche come Gasparazzo di Roberto Zamarin alle storie come Un fascio di bombe (1975) che sono quasi un’anticipazione del graphic journalism
Ci sono fumetti femministi come La prima è stata Lilith, pubblicato nel 1976 da Ottaviano; ma anche personaggi come la Valentina di Guido Crepax, Il commissario Spada di Gianni De Luca o Valentina Mela Verde di Grazia Nidasio che dalle pagine del “Corriere dei Piccoli” accompagna le generazioni più giovani attraverso i cambiamenti culturali, sociali e di costume degli anni Settanta.
L’evoluzione non riguarda solo i testi ma anche il disegno e la tecnica narrativa che in quegli anni si modifica profondamente, per vie autonome (come nei tre artisti appena ricordati) o sotto l’impulso della rivoluzione della casa editrice francese Les Humanoïdes Associés e dei suoi autori.
La massima espressione di questa rivoluzione è probabilmente quella di cui sono protagonisti alla fine degli anni Settanta, Andrea Pazienza, Stefano Tamburini, Tanino Liberatore, Massimo Mattioli e Filippo Scozzari, il gruppo di autori che crea Cannibale, il Male e Frigidaire, tre testate rivoluzionarie che, mescolando realismo, satira e delirio onirico, cambiano la faccia del fumetto italiano.
In quegli stessi anni, il fumetto viene sempre meno identificato con una lettura esclusivamente per ragazzi ed acquista una maggiore riconoscibilità nel dibattito pubblico. A partire dal 1972, ad esempio, sul secondo canale Rai va in onda Supergulp! Fumetti in tv, un programma contenitore con animazioni basate sui fumetti e interviste. Dei fumetti, dei suoi autori e personaggi si occupano i programmi televisivi di approfondimento e i settimanali di attualità mentre, dai primi anni Ottanta, autori come Pazienza e Manara spaziano anche in altri segmenti dell’industria culturale, realizzando copertine di dischi, manifesti di film o pubblicità.
3. 1986: la maturità
Nel 1986 un nuovo, insolito fumetto arriva nelle edicole: si chiama Dylan Dog e, sin dal primo numero, si offre come un prodotto editoriale postmoderno, in cui citazioni popolari e colte si inseguono senza soluzione di continuità.
Nella scrittura di Tiziano Sclavi e nei disegni di Angelo Stano, infatti, si mescolano il cinema horror di Romero (“La notte dei morti viventi” diventa “L’alba dei morti viventi”) ed Egon Schiele, e mille altri rimandi che, negli anni, diventerà un gioco da appassionati individuare. Pubblicato da Bonelli, ormai la principale casa editrice italiana di fumetti, è un albo insolito per tematiche (l’horror) e l’ambientazione (Londra), ma soprattutto è uno dei punti di arrivo di un medium ormai maturo che, dietro l’apparenza di una storia di genere, può parlare ad un pubblico molto ampio e trasversale, con riflessioni sull’attualità e su «valori non astratti (la diversità, la ricchezza della differenza, la prevalenza dell’intelligenza sulla forza…)», in apparente controtendenza con quelli dominanti in quel decennio[6].
Benché, proprio per le sue tematiche horror, anche nella variante splatter, Dylan Dog rinfocoli le polemiche sulla “pericolosità” del fumetto come strumento diseducativo, il suo enorme successo editoriale mostra come il fumetto sia ormai stabilmente collocato tra i consumi culturali di molti italiani. Del resto, era sin dalla fine degli anni Settanta che la Bonelli (allora Cepim) mescolava le carte dei generi e della tradizionale distinzione tra fumetto popolare e “d’autore”, con collane come Ken Parker, Un Uomo un’avventura e, poi, Martin Mystère. Lo stesso accade con le riviste, da Orient Express a Pilot, da Corto Maltese aL’Eternauta a Comic Art, sin dal titolo dedicata alla “nona arte”. Ma non sono, in quegli anni, solo le produzioni editoriali ad affermare la maturità del medium e la sua riconosciuta collocazione nell’industria culturale: ci sono anche i “collettivi” di autori come il gruppo Valvoline che, sulla scorta di quanto avevano fatto Tamburini, Pazienza e gli altri alla fine degli anni Settanta, esplorano – in modo anche più consapevole e programmatico – i limiti espressivi del fumetto, diventando una componente non secondaria del panorama culturale degli anni Ottanta, al confine tra arte, moda ed editoria[7].
In questo quadro in profondo sommovimento, la morte di Andrea Pazienza per overdose nel 1988 (preceduta, due anni prima, da quella di Stefano Tamburini) appare come la chiusura di un’epoca. Poco più di un lustro dopo, nel 1994, la nascita della Marvel Italia, ovvero della filiale italiana della casa editrice americana famosa per i “supereroi con superproblemi” – che avevano esordito con le traduzioni dell’editoriale Corno negli anni ’70 – è il sigillo di una fase nuova, segnata da processi di “globalizzazione” del fumetto italiano, con l’arrivo strutturale dei manga nell’editoria nazionale (grazie ai Kappa Boys) e la nascita di librerie specializzate.
[1] R. Bianchi, Grandi Patrie, piccole storie. Nazione e Risorgimento nei fumetti, in La patria tra le nuvole. Il Risorgimento nei fumetti, “Zapruder” n. 25, maggio-agosto 2011, p. 5 [link sito]
[2] Oltre ai libri citati oltre, un buon esempio è costituito da G. Bono, M. Stefanelli, Fumetto! 150 anni di storie italiane, Rizzoli, Milano 2016. Dal punto di vista delle teorie sul fumetto si veda invece L. di Paola, L’inafferabile medium. Una cartografia delle teorie del fumetto dagli anni Venti ad oggi, Alessandro Polidoro, Napoli 2019
[3] E. Leake, Tex Willer. Un cowboy nell’Italia del dopoguerra, Il Mulino, Bologna 2018, rispettivamente pp. 8, 77 e 20. Nelle prime storie Tex è un fuorilegge, per quanto accusato ingiustamente
[4] Paolo Interdonato, Linus. Storia di una rivoluzione nata per gioco, Rizzoli-Lizard, Milano 2015
[5] D. Barbieri, Breve storia della letteratura a fumetti, Carocci, Roma 2009, p. 109
[6] L. Boschi, Frigo, valvole e ballons, Theoria, Roma- Napoli, 1997, p. 119
[7] Cfr. Valvoline Story, Coconino Press, Bologna 2014; Igort, My Generation, Chiarelettere, Milano 2016