di Cecilia Molesini
Si è da poco conclusa, in Italia, la terza stagione della serie tedesco-statunitense dedicata a uno dei principali teatri di scontro dell’ultimo critico decennio di Guerra fredda: la Germania divisa degli anni Ottanta.
Il protagonista della serie, attorno al quale si dispiegano “le vite degli altri”, è Martin Rauch, una giovane guardia di frontiera della Germania est costretta dalla Stasi ad infiltrarsi come spia nella Germania occidentale per scoprire i presunti piani di attacco nucleare americani nei confronti dell’Unione sovietica e della Repubblica democratica tedesca (Rdt). In questa prima stagione, Deutschland 83, l’azione si svolge esclusivamente sul territorio tedesco. Agli eventi storici ben ricostruiti e alle relazioni politiche e strategiche si intrecciano agevolmente le storie personali e familiari; basti pensare che Martin viene assoldato proprio dalla zia Lenora, figura centrale dei servizi segreti tedesco-orientali all’estero (Hva), con la promessa che la madre malata sarebbe stata inserita al primo posto nella lista d’attesa per un trapianto di rene. Infiltratosi con successo nelle forze armate federali, Martin scopre che il presunto piano di attacco nucleare altro non è che un’esercitazione della Nato (la nota operazione Able Archer). Tuttavia, la diffidenza e il timore sovietici nei confronti dell’Amministrazione Reagan, avevano convinto ormai anche i membri dell’Hva di un’imminente guerra atomica, tanto che per ovviare a tale scenario apocalittico, Martin è costretto a compiere delle scelte che lo porteranno in esilio in Angola.
In Deutschland 86 diventa evidente come la partita della Guerra fredda si sia giocata anche su altri fronti. La seconda stagione, infatti, si svolge tra il Sudafrica dell’Apartheid, l’Angola, la Libia e la Berlino bipartita. Lo spostamento geografico è funzionale a inquadrare i molteplici legami che la Germania orientale ebbe da un lato con alcuni movimenti di liberazione nazionale, con cui condivideva la lotta all’oppressione e al capitalismo, dall’altro con il mondo capitalistico stesso. Allo scopo di risolvere i significativi problemi economici che caratterizzarono quegli anni risanando le proprie casse con valuta pregiata proveniente dall’Occidente, la Repubblica democratica prese delle decisioni, anche poco ortodosse, che coinvolsero il traffico d’armi, lo smaltimento di rifiuti, la sperimentazione di farmaci. Martin, nuovamente ingaggiato dalla zia in tali missioni, conosce però un’agente dei servizi segreti federali (Bnd), di cui si innamora e con cui inizia a collaborare, dimostrando una sempre più profonda sfiducia verso il “sistema” di cui era parte.
In Deutschland 89, che si apre con il crollo del Muro di Berlino, ritroviamo il protagonista impiegato alla Robotron, la più grande azienda di elettronica della Rdt, che tenta invano di portare avanti una vita “normale”. Martin, infatti, si ritrova ben presto a dover lavorare contemporaneamente per l’Hva, il Bnd e la Cia, dimostrando tuttavia più volte di essere ormai un cane sciolto.
Complessivamente si tratta di una produzione interessante, che ricostruisce in maniera convincente il clima soffocante del periodo in cui gli intrighi politici si svolgevano in segreto in un mondo segnato dall’ansia della Guerra fredda. Talvolta, si ha però l’impressione che alcuni momenti di umorismo sfocino in scene stereotipate sul mondo delle spie e sulla vita nella Rdt. Ne è un esempio la scena in cui i membri dell’Hva rimangono basiti di fronte ad un floppy disk americano, tentativo di dimostrare il divario tecnologico tra le due realtà divise dal Muro.
D. 83 – la più riuscita delle tre stagioni – presenta un giusto equilibrio tra la vita personale e l’“alta politica”, mentre nelle stagioni successive la Storia prende il sopravvento sulla sfera più intima, ridotta quasi a un’appendice obbligata. L’unica eccezione è la figura di Tina Fischer, la cui vicenda è rappresentativa dei dilemmi morali che tormentarono alcuni cittadini della Rdt e, allo stesso tempo, dei metodi duri e violenti utilizzati dagli agenti della Stasi per estorcere informazioni ai prigionieri basati sull’uso improprio dell’emotività e degli affetti.
L’ambientazione storica è ben ricostruita, complice anche la scelta di girare molte scene all’interno di quella che fu la sede della Stasi e l’apprezzabile colonna sonora che, soprattutto in D. 83, permette al pubblico di calarsi piacevolmente nelle due realtà contrapposte da un lato all’altro del Muro. Ma se i principali temi trattati – l’ascesa dei movimenti pacifisti, la paura dell’Aids, il terrorismo – si incastrano bene con lo sviluppo della trama, altri riferimenti risultano talvolta forzati, seppur necessari, perché solo frettolosamente accennati, come è il caso della catastrofe nucleare di Chernobyl.
È poi d’obbligo sottolineare che le immagini – in coda all’ultima stagione – del muro voluto da Trump al confine con il Messico equiparate a quelle del Muro di Berlino, pur risultando poco appropriate agli occhi di uno storico, dimostrano la volontà di spostare l’attenzione sulla radicalizzazione politica dei nostri giorni.