di Stefano Battilana
ISTANBUL, PONTE FRA DUE MONDI. Tutto inizia sulla poltrona dell’analista, quella Senior intendo, su cui si accomoda il terapeuta per proseguire il suo training: così, in questo gioco di relazioni, fra il mentore, l’analista e la paziente vera e propria, scopriamo la storia di una povera ma niente affatto sprovveduta contadinella, la quale ha svenimenti improvvisi che nessuno riesce a spiegare e pertanto si rivolge alla psichiatra, che opera pro-bono in una struttura pubblica. Le due donne a confronto non potrebbero essere più diverse, soprattutto socialmente, a rappresentare icasticamente le due Turchie di oggi, quella islamica e popolare e quella laica e capitalista. La psichiatra proviene dall’ambiente della vecchia classe dirigente filoccidentale e liberale, come quella dei romanzi di Orhan Pamuk: la Dottoressa Peri abita l’ultima propaggine dell’est dell’Europa, la Istanbul sulle rive del Bosforo, signorile e superstite, e pratica la scienza della mente, la più borghese di tutte, quasi inadatta a curare i mali materiali del popolo. La campagnola Meriam conosce i propri limiti sociali, ma sembra sapere bene che lei è parte del popolo, la maggioranza nel paese, il cui numero è potenza e che in politica ha già prevalso su queste fighette un po’ problematiche, anche se invidiabili, per lo stile di vita benestante.
PSICANALISI FEMMINILE, LINK FRA OPPOSTI. Non è un caso che l’Istanbul moderna sia solo accennata nei suoi grattacieli, sempre un po’ nuvolosa, mai solare, girata in interni e virata al seppia come un mondo perduto, come le canzoni anni ‘60 della sigla strappalacrime, un lirico remember di quando i problemi erano solo sentimentali. Eppure, in questo top-down sociale, fra la metropoli dei grattacieli ma senza moschee e i piccoli villaggi rurali e suburbani, dove sempre svetta il minareto, c’è il link del subconscio femminile, più attrezzato e sensibile, quasi capace di comprendere le vie contorte dell’anima. Sia la contadina, che ha il coraggio di affrontare il disagio dei suoi inspiegabili svenimenti, sia la cognata hanno problemi mentali, totalmente incompresi dagli uomini, a partire dal fratello-marito nonché padre-padrone, per finire all’Hodja, l’Iman della comunità rurale, che prende uno stipendio statale per fare il pastore di anime. La vicenda, pur se minimale, è assai complessa e non si può qui riassumere, anche perché in realtà non succede nulla degno di cronaca, nulla che possa fare notizia sui giornali. L’astuta Meriam avrà la fortuna di risolvere i propri guai proprio come fece il primo illustre paziente letterario italiano, Zeno Cosini, accettando di vivere invece che di analizzarsi. La cognata, dopo un viaggio a rebours, ritroverà il coraggio di affrontare la propria vita familiare e il marito, un bruto sentimentale senz’altra grazia. Peri, cinquantenne irrisolta, finirà per accettare anche lei il nuovo dress-code che le si impone alla vista: niente velo per lei e coetanee, ma sarà solo l’ultima privilegiata: già nel suo mondo si insinua la tradizione vincente, nei panni della sorella della sua trainer, curda, integralista convinta e realizzata nel suo ruolo di moglie velata, senza tutte le ubbie delle analiste single.
ORDINARY PEOPLE, ALTRO CHE EPOS. Altri sono i personaggi di questo mondo bipolare, dove la città è l’ultimo avamposto etimologico della civiltà occidentale e dove le donne sono l’ultima speranza dell’Occidente, come nel bellissimo film turco “Mustang” del 2015. Ethos, che è il titolo dato dalla distribuzione all’ originale Bir Bakashir, un detto evasivo e difficilmente traducibile, il quale significa all’incirca: “È qualcos’altro…”, come se fosse una risposta sfuggente a una domanda precisa, così, come la locuzione turca, non prende posizione, non propone una tesi né un Epos e neppure un’etica. Racconta una storia come tante altre, una tranche de vie della Turchia erdoganiana, ineluttabile come il futuro un po’ triste che le apparecchia la tradizione. Questa neutralità narrativa ha fatto sì che avesse un grande seguito di pubblico nel proprio paese, soddisfatto dal veder raccontare la propria attualità e la normalità di un paese vasto e di un popolo possente, che anche per noi è giusto conoscere e, guardando le otto puntate della serie Ethos di Netflix, in parte comprendere.