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I leoni di Sicilia: l’ascesa sociale del terzo stato

La serie TV di Paolo Genovese sulla famiglia Florio ora in onda su Disney

Di Stefano Battilana

La scena topica si svolge al porto di Palermo ai primi di maggio del 1860, quando la spedizione dei Mille incombe sulla Sicilia borbonica. Vincenzo Florio, ricchissimo imprenditore borghese, passeggia col giovane figlio Ignazio, che gli chiede: “Ma, padre, fatemi capire, deste la vostra flotta ai Borboni per pattugliare le coste e fermare i rivoluzionari e nel contempo fate costruire cannoni per poi darli a Garibaldi!?”; “Figlio mio, al re non potevo certo dire di no, ma alla rivoluzione, che arriverà inevitabile, voglio comunque dire di sì…”

Sono le parole di un grande protagonista della Sicilia, raccontate nei due romanzi di Stefania Auci, che narrano le vicende dei Florio, fondatori di un enorme impero commerciale e industriale nella Sicilia dell’Ottocento: il primo romanzo I leoni di Sicilia narra le origini umili e calabresi di una famiglia di bottegai, i quali, rovinati da un terremoto a Bagnara Calabra, decidono di andare a Palermo per aprire una loro bottega, una putìa appunto, da qui iniziando una lunga carriera commerciale, fatta di audacia, fortuna e lungimiranza, che portò i Florio a diventare la più ricca famiglia non nobile di Sicilia, lasciando in eredità all’intera isola un patrimonio artistico ed edilizio tuttora Insuperabile. L’entusiasmante storia dell’ascesa imprenditoriale è ora adattata a sceneggiato dal regista Paolo Genovese, autore di Perfetti sconosciuti e di tanti altri film importanti: le vicende successive della famiglia sono narrate nel secondo romanzo della Auci, dal titolo tristemente profetico L’inverno dei Leoni, cui quasi certamente seguirà una seconda serie tv.

Per ora, ci accontentiamo, e grandemente, della prima serie in otto puntate su Disney Channel con Michele Riondino e Miriam Leone, assieme a uno stuolo di ottimi attori italiani, su uno sfondo di grande sfarzo di costumi e di arredi sontuosi, che la telecamera riprende con dovizia di inquadrature: si tratta delle celeberrime Ville dei Florio, delle Cantine del Marsala, delle tonnare adibite a industria e, nel contempo, a dimora principesca, dei poderi perfettamente coltivati e degli abiti lussuosi. La ricostruzione filologica degli ambienti è perfetta, del resto quegli arredi esistono veramente e stanno già generando un turismo di location, come avvenuto sulle tracce del Commissario Montalbano: la Sicilia è bellissima e generosa di scorci indimenticabili, che lo schermo rende nella loro interezza e seduzione. La ricostruzione storica è invece assai meno didascalica e più romanzata: le scene di rivolta sembrano litografie dell’epoca e non scontri sanguinari e cruenti, Genovese non è Ridley Scott, che ci porta dentro la battaglia, dove si scatena l’inferno.

Poco male, si può dire, perché la vera forza della serie è l’indagine sull’umanità dei personaggi, sull’amore negato e concesso, sul tentativo ossessivo e insistito di diventare una “Dinastia”, con tanto di araldica, di trasformarsi da leone di strada a gattopardo da salotto. Il tema del conflitto fra matrimonio d’amore o di interesse e la scelta libera del borghese di sposare per passione attraversa tutte le generazioni della famiglia Florio, ne nobilita i sentimenti e ne deprime le aspirazioni, con sofferenze silenti ma durature e gioie fugaci ma dirimenti, Questo è il grande valore di umanità della storia: la scelta d’amore, contrapposta al matrimonio di interesse, in una società sclerotizzata, dove i Florio sono comunque dei parvenu, pur se ricchissimi.

Il profondo dissidio fra sentimenti e convenienze, che ricorda tanto i toni della tragedia greca e dell’epica omerica, è il grande pregio narrativo dell’opera e appassiona lo spettatore, nella scoperta di una tormentata ma autentica storia di successo imprenditoriale. Proprio il protagonista, interpretato magistralmente da Riondino, cercherà per tutta la vita, spinto dalle frustrazioni della madre, di imparentare il nome dei Florio con la nobiltà, in una Sicilia atavica dove o sei nobile o sei nessuno, dove nulla cambia mai pur nel cambiamento, secondo le eloquenti e famosissime parole del disincantato nipote del Principe di Salina, il protagonista del romanzo di Tomasi di Lampedusa, emblema di un mondo alato, che alfine dovette cedere al cambiamento.

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